PREMESSA
La patologia muscolo-tendinea ed articolare minore rappresenta un evento assai frequente nella pratica di molte discipline sportive: essa, potendo risultare invalidante anche a distanza di tempo, richiede una diagnosi tempestiva e corretta ed un altrettanto efficace intervento terapeutico. Va peraltro rilevato che, mentre sono stati fatti importanti progressi in campo diagnostico soprattutto grazie alle piu' recenti tecnologie di diagnostica per immagini, non altrettanto si può dire per quello che riguarda le metodiche terapeutiche non cruente. D’altro canto il continuo espandersi della pratica sportiva in sempre piu' larghi strati della popolazione ( verificatosi soprattutto nell’ultimo decennio ) oltre a raggiungere nel nostro Paese un numero di praticanti che si aggira sui 12-14 milioni, ha creato una serie di nuovi problemi per gli operatori sanitari del settore che vanno dalla prevenzione dell’infortunio al recupero rapido dello sportivo colpito la cui invalidità temporanea presenta, oltre al danno personale, non trascurabili riflessi nel mondo del lavoro con notevoli implicazioni sociali.
Non rientra negli scopi di questo studio una disamina approfondita del fenomeno: sarà pertanto sufficiente un breve cenno sulle lesioni che piu' frequentemente si rilevano a seguito dei carichi allenanti e del momento agonistico nelle discipline sportive a piu' larga partecipazione. E’ ovviamente esclusa la patologia maggiore che è di competenza del chirurgo ortopedico.
Per meglio individuare un quadro corretto di questo tipo di traumatologia specifica è opportuno premettere che in passato vi è stata una grande ricerca da parte degli specialisti del settore per delineare un profilo patologico di causa-effetto, con particolare riguardo alle lesioni croniche, tanto da coniare il termine “atlopatie”, quasi ad individuarne l’etiologia prevalente od esclusiva nel gesto atletico. Recentemente si tende a non considerare tanto “diversa” la patologia da sport da quella piu' genericamente riscontrabile in soggetti non praticanti.
Anche per questo motivo ci limiteremo pertanto a considerare in questa sede una breve panoramica delle patologie acute e croniche che con maggior frequenza si riscontrano negli sportivi praticanti le discipline a piu' larga diffusione come il calcio, il podismo, il ciclismo, il tennis, la pallacanestro e la pallavolo ( TAB 1 )
Negli sport di squadra, in cui è importante la componente “contatto”, prevale la patologia acuta ad origine traumatica ed in particolare quella dell’arto inferiore per il calcio ( lesioni del ginocchio, distorsioni del collopiede, entesopatie degli adduttori, tendinopatie al t. Di Achille ) ( 1 ) e dell’arto superiore ( fratture-lussazioni mano, tendinopatie estensori delle dita, tendinopatie e lesioni della spalla ) per il basket ( 2 ) ( 3 ).
Nella pallavolo, dove manca questa componente, prevalgono le lesioni tipiche degli sport di potenza sia agli arti superiori che agli inferiori ( lesioni della spalla, distorsioni della caviglia, tendinopatie quadricipitali, condropatie femoro-rotulee ) ( 2 ) ( 3 ).
Nel tennis sono piu' frequenti le patologie a carico delle strutture muscolari e tendinee ( muscoli della spalla, dell’addome; tendini rotuleo, degli adduttori della coscia ) ( 3 ) così come negli sport di endurance come il podismo ed il ciclismo, dove i microtraumi ripetuti determinano la prevalenza di quadri cronici ( tendinopatie dell’achilleo, degli adduttori dei peronei, condropatie femoro-rotulee ) ( 4 ).
Nella maggior parte di queste affezioni dominano il quadro clinico i sintomi “dolore” e “functio lesa” che possono, come già accennato, risultare totalmente o parzialmente invalidanti nella fase acuta nonchè produrre, se non correttamente e tempestivamente diagnosticati e trattati, conseguenze negative a distanza sulla capacità funzionale del soggetto colpito nei confronti della pratica sportiva e, piu' in generale, della sua vita attiva. Per questi motivi il costante affermarsi di tecniche diagnostiche e di presidi terapeutici efficaci in grado di influire precocemente ed in tempi brevi sulla sintomatologia dolorosa e sulla limitazione funzionale sono stati oggetto di studi costanti e di importanti progressi tecnologici. Ad esempio, l’ecotomografia muscolo-tendinea ha rappresentato uno strumento fondamentale per la diagnosi precoce di molti tipi di lesione sia per la sua semplicità d’impiego sia per l’ottimo rapporto costi\benefici. Del pari, le apparecchiature ergometriche isocinetiche hanno consentito di valutare correttamente e “misurare” con precisione l’entità del danno e del recupero funzionale.
Piu' recentemente, l’impiego nelle versioni tecnologicamente piu' avanzate della Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation ( LASER ) sembra promettere un notevole progresso sul versante terapeutico: è appunto a questo tipo di apparecchi ed al loro impiego in Medicina dello Sport che abbiamo dedicato particolare attenzione in questa ricerca.
La “Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation” ( LASER ) in
terapia fisica
Il LASER è una sorgente di radiazione elettromagnetica coerente e la sigla è l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation: essa definisce quindi un mezzo fisico che produce energia sotto forma di un’onda luminosa in seguito ad un’emissione stimolata di radiazioni.
Un’apparecchiatura laser è un sistema essenzialmente formato da tre elementi: a ) il mezzo attivo, b ) la sorgente di attivazione c ) il risonatore ottico ( 5 ).
A ) Il mezzo attivo è formato da materiale solido, liquido o gassoso che, opportunamente stimolato, emette una radiazione; esso è responsabile della lunghezza d’onda di emissione.
B ) La sorgente di attivazione, indispensabile per innescare la reazione, fornisce al materiale attivo l’energia che permette l’emissione della radiazione.
C ) Il risonatore ottico è formato da un sistema di specchi che permette di amplificare le onde elettromagnetiche della luce laser.
I fotoni liberati dal processo di stimolazione sono dotati di caratteristiche di coerenza, collimazione, monocromaticità e brillanza: in altri termini sono in fase nel tempo e nello spazio, percorrono direzioni di propagazione parallele, hanno la stessa frequenza e possono raggiungere intensità di energia elevate in aree molto ristrette ( 6 ).
I parametri che devono essere considerati per definire le caratteristiche fisiche del laser sono: 1 ) lunghezza d’onda, 2 ) potenza, 3 ) modalità di emissione.
La lunghezza d’onda dipende dal mezzo attivo utilizzato ed è compresa fra 180 e 10.600 nm e influenza le capacità di penetrazione del raggio: i raggi ultravioletti ( 200-350 nm ) sono assorbiti dalle proteine e dagli acidi nucleici ( 7 ); le frequenze del visibile comprese fra 400 e 750 nm sono assorbite dalle melanine e dai composti tetrapirrolici; per le frequenze fra 800 e 1400 nm ( quindi nell’infrarosso vicino ) esiste la cosiddetta “finestra terapeutica” ( 8 ) in cui le radiazioni laser non sono assorbite elettivamente da uno specifico elemento e di conseguenza hanno un maggiore potere di penetrazione. Nell’infrarosso lontano ( oltre 3000 nm ) la radiazione viene assorbita dall’acqua e quindi il potere di penetrazione risulta molto scarso.
Per quanto concerne la potenza ( Watt ) occorre fare una distinzione fra potenza di picco ( potenza massima di emissione per ogni pulsazione ) e la potenza media registrata al puntale in 1 sec. E’ inoltre importante rapportare la superficie irradiata con la potenza in uscita ( densità di potenza Watt/cmq ) o con l’energia ceduta ( densità di energia J/cmq ).
L’emissione laser può essere continua, pulsata ( scariche ripetute a frequenze piu' o meno elevate ), a flash o Q-switched ( brevi emissioni di alta potenza di picco ).
Trattandosi in buona sostanza di un’onda elettromagnetica che attraversa un mezzo disomogeneo ( come è il substrato biologico ) è importante ricordare per una migliore comprensione del fenomeno le caratteristiche generali del passaggio della luce attraverso i tessuti.
L’onda elettromagnetica in parte attraversa i tessuti non modificata grazie al fenomeno della trasmissione, che si osserva prevalentemente nel rosso e infrarosso per lo scarso assorbimento cellulare a queste lunghezze d’onda, in parte viene diffusa, data l’eterogeneità del mezzo, anche in senso retrogrado ( back scattering ) ( 9 ).
L’interazione fra la radiazione elettromagnetica non-ionizzata ( laser ) e i tessuti biologici è in generale determinata dai processi fisici che governano la cessione di energia da parte della radiazione al substrato e dalla risposta biologica del tessuto stesso. Le interazioni laser-tessuto possono essere suddivise in quattro categorie principali, a seconda del tipo di processo che segue l’assorbimento e sono dipendenti essenzialmente dalla lunghezza d’onda, dalla densità di potenza e dalle caratteristiche temporali di emissione ( continua, pulsata ecc... ) della radiazione utilizzata ( 10 )
I ) Interazioni fotofisiche: viene sfruttata la monocromaticità del laser per eccitare il cromoforo bersaglio ( emoglobina, mioglobina, acqua ecc... );
II ) Interazioni fotochimiche: il processo di assorbimento è seguito da una serie di reazioni chimiche che modificano il substrato biologico;
III ) Interazioni fototermiche: dovute alla conversione dell’energia utilizzata in calore;
IV ) Interazioni fotomeccaniche: focalizzando impulsi ultracorti di elevata potenza di picco su volumi molto piccoli si ottengono vere e proprie vibrazioni meccaniche.
L’intensità delle reazioni biologiche nei tessuti irradiati dipenderà quindi dalle caratteristiche del tessuto, che può assorbire, trasmettere o riflettere energia, dalla lunghezza d’onda, dalla densità di potenza e dalla modalità di emissione.
Diverse sono le ipotesi sulle reali interazioni della radiazione laser col substrato cellulare: le piu' accreditate postulano l’effetto “biostimolante” o “reazione laser-catalizzata” ( 11 ) ( 12 ) che risulterebbe nella stimolazione o inibizione di attività biochimiche, fisiologiche e proliferative. A questo proposito è noto da tempo che le cellule sono sensibili a specifiche lunghezze d’onda ( 13 ). Le cellule in coltura comunicano attraverso messageri ionici generando quindi energia elettromagnetica ed influenzando processi metabolici e catabolici. In caso di squilibrio o patologia lo stato energetico delle cellule si modifica così come si alterano di conseguenza i processi di comunicazione intercellulare. La laser-terapia sembra influenzare in senso positivo questi meccanismi.
Un’altra teoria fra le piu' accreditate è quella dell’ “effetto fotochimico” per cui l’assorbimento della radiazione laser avverrebbe ad opera di specifici cromofori ( 14 ) identificabili in enzimi, membrane cellulari e\o altre sostanze intra o extra-cellulari la cui attivazione o inattivazione sarebbe responsabile dei principali effetti del laser e cioè dell’azione antalgica, antiflogistica, antiedemigena e biostimolante. L’entità di questi effetti sembra essere in relazione con la lunghezza d’onda, il dosaggio della radiazione laser e le modalità di emissione ( 15 ). A seconda del tipo di patologia trattata, delle modalità e delle dosi impiegate, il raggio laser sembra infatti in grado di agire innalzando la soglia di percezione dolorifica tramite azione diretta sulle terminazioni nervose algogene ( 16 ) o, indirettamente, stimolando la liberazione “in loco” e nel liquor di endorfine ( 17 ).
D’altro canto l’iperemia attiva laser indotta ( 18 ) e l’attivazione macrofagica ( 19 ), eliminando l’ischemia e la stasi locale di sostanze algogene endogene, escluderebbero altre possibili cause di insorgenza del dolore e della flogosi ( 20 ). Il reintrego del potenziale di membrana cellulare contribuirebbe, infine, all’interruzione della triade contrattura-vasocostrizione-dolore e alla risoluzione della flogosi ( 21 ).
Le strutture maggiormente interessate dall’azione del laser in terapia fisica sono:
1 ) Nocicettori e fibre nervose periferiche: in queste strutture si verificherebbe una aumentata produzione di ATP, un reintegro del potenziale di membrana, un’evocazione di potenziali di azione locali e iperpolarizzazione di membrana con blocco di conduzione ( 22 ).
2 ) Vasi sanguigni e linfatici: in essi si produrrebbe un aumento della velocità del microcircolo ematico ed un aumentato drenaggio veno-linfatico ( 23 ).
3 ) Muscoli: il ripristino dello stato fisiologico cellulare si tradurrebbe nella normalizzazione del potenziale di riposo della miocellula con risoluzione della contrattura, mentre la scomparsa degli eventuali edema e flogosi faciliterebbe un rapido e completo recupero funzionale delle fibre ( 24 ).
4 ) Tendini, capsula articolare fibrosa, legamenti: le azioni precedentemente descritte spiegherebbero sufficientemente gli effetti positivi della radiazione laser anche per queste strutture.
5 ) Membrane sinoviali, borse e liquido sinoviale: l’esposizione alla radiazione laser di queste strutture, per i meccanismi suddetti, permetterebbe un rapido riassorbimento del liquido sinoviale e un ritorno alla normalità delle strutture alterate, mentre gli effetti sono nulli se queste sono normali ( 25 ).
Nel trattamento delle diverse patologie dell’apparato locomotore vengono impiegati piu' tipi di laser definiti in base al mezzo attivo, alla lunghezza d’onda e alla potenza di emissione ( soft-laser, mid-laser e power-laser ), di cui i laser ad Arseniuro di Gallio e l’Helio-Neon sono in assoluto i piu' diffusi e studiati ( TAB II )
Il laser a semiconduttori è un laser a solido: il piu' comune è all’arseniuro di gallio ed emette nell’infrarosso con potenze medie dell’ordine dei mW: esso è dotato quindi di buona penetrazione ma di scarsa potenza.
Il laser Helio-Neon è un laser a gas che emette luce rossa nel visibile di 632, 8 nm con potenze che variano da 1 a 50 mW: ha quindi bassissima potenza e scarsa penetrazione.
Esistono in letteratura molti lavori sugli effetti dei soft e mid-laser e i risultati di questi studi sono molto discordanti; ricordiamo a questo proposito lo studio di Heleen Beckerman e coll. ( 26 ) nel quale ha raggruppato e meta-analizzato la letteratura sul laser in terapia fisica, giungendo alla conclusione che i lavori metodologicamente piu' corretti ed esaustivi riportavano effetti positivi, senza sottovalutare peraltro la validità di alcune ricerche che invece negavano l’efficacia terapeutica del laser.
Come accennato precedentemente il limite della laser terapia fino a non molti anni fa era dovuto soprattutto al basso potere di penetrazione tissutale e alla scarsa potenza, o meglio allo scarso effetto terapeutico in profondità ( 27 ).
Recentemente sono entrati nell’uso comune in terapia fisica anche i laser ad alta potenza e di derivazione chirurgica come il laser a CO2 e il laser a neodimio.
Il laser a CO2 è un laser a gas il cui materiale attivo è l’anidride carbonica e produce una luce invisibile nell’infrarosso lontano con lambda di 10600 nm e potenza elevata: la radiazione peraltro è assorbita dall’acqua per cui ha uno scarso potere di penetrazione.
Il laser ND:YAG è un laser a solido il cui mezzo attivo è un cristallo di Ittrio Alluminio Granato drogato con Neodimio che emette luce alla lunghezza d’onda di 1064 nm con un buon potere di penetrazione ( 8 ). Queste apparecchiature fino a qualche tempo fa difettavano in maneggevolezza in quanto, a causa dell’elevato effetto termico, si potevano procurare danni tissutali.
Gli apparecchi laser di ultima generazione presentano alcune caratteristiche tecniche che li differenziano in maniera sostanziale rispetto alle precedenti versioni. In particolare, il laser da noi utilizzato in questo studio è un laser ND:YAG di ultima generazione che unisce grande potere di penetrazione ad un elevata potenza di picco e densità di energia ( 28 ) ( 29 ). Inoltre per ovviare al problema del rischio termico, è stato utilizzato un emettitore con azione pulsata allo scopo di non raggiungere la soglia di accumulo e quindi di proteggere i tessuti irradiati da possibili danni da calore.
RICERCHE PERSONALI
Sulla scorta di quanto esposto nei confronti delle apparecchiature laser di nuova generazione abbiamo ritenuto opportuno predisporre un protocollo di ricerca allo scopo di verificare se alle innovazioni tecnologiche descritte potesse corrispondere un reale e ben documentabile vantaggio nella pratica applicazione sulla patologia muscolo-articolare minore dello sport.
L’apparecchiatura da noi impiegata è un Laser ND: YAG ( fig. 1 - 2 ) messo a punto in collaborazione con la ditta DEKA MELA di Firenze che emette luce coerente alla lunghezza d’onda di 1064 nm con potenza di picco di 750 W, frequenza di emissone regolabile fra 10 e 40 Hz, energia per impulso regolabile tra 30 e 150 mJ e potenza media regolabile fra 0, 3 e 6 Watt. E’ stato inoltre scelto un apparecchio con emissione pulsata anche per verificare l’efficacia della somministrazione ad impulsi che sembra aumentare l’efficacia ( 30 ) come sostenuto da diverse Scuole, ed in particolare da quelle dell’Est europeo, che sono fra le piu' avanzate in campo di radiazioni laser. ( 31 )
Per quanto riguarda la casistica sono stati trattati n° 97 casi, atleti dilettanti e professionisti, di cui 20 femmine e 77 maschi, di età compresa fra 11 e 73 anni ( media 34, 5 ) portatori di affezioni muscolo-tendinee ed articolari in fase acuta o cronicizzate suddivisi come da tabella III.
E’ stata inoltre da noi verificata l’efficacia del trattamento anche in 9 soggetti non atleti portatori di patologie cronico-degenerative suddivisi come descritto in tabella IV.
A tutti i soggetti trattati è stato applicato un protocollo, standardizzato in relazione al tipo, intensità ed estensione del processo patologico in atto, suddiviso in sedute giornaliere con un massimo di 12 un minimo di 5 ed una media di 10 sedute per caso.
Le densità di potenza somministrate variavano fra 8, 7 e i 9, 5 W/cmq per 7 sec. Per l’applicazione puntiforme e fra i 13, 7 e 15, 8 W/cmq per 40\60 sec per l’applicazione in scanner manuale, adattando le quantità di energia somministrata in base alle caratteristiche somatiche del soggetto in relazione alla zona di irradiazione.
Per garantire la massima uniformità di applicazione le sedute sono state effettuate sempre dallo stesso operatore e le caratteristiche di emissione dell’apparecchiatura sono state testate periodicamente.
La valutazione dei soggetti è stata eseguita secondo analisi clinica prima e dopo l’applicazione con il laser ed in particolare sono stati considerati:
- il sintomo dolore mediante valutazione con scala analogica visiva da 1 a 10;
- la funzionalità mediante valutazione goniometrica della mobilità articolare attiva e
passiva,
- i tempi di recupero rapportati alle indicazioni della letteratura piu' recente.
In n° 82 casi, per ottenere conferma alla diagnosi posta clinicamente, la valutazione è stata effettuata anche con metodiche di diagnostica strumentale per immagini: ecotomografia, T.A.C. o R.M.N., RX ed ergometria isocinetica.
Con i criteri valutativi clinici sopradescritti il risultato dei casi trattati è stato classificato in base all’esito della terapia come:
- OTTIMO, con scomparsa della sintomatologia dolorosa e degli eventuali deficit funzionali e\o di articolarità e rapida ripresa della attività;
-DISCRETO, con regressione discreta della sintomatologia e riduzione e\o scomparsa dei deficit e ripresa dell’attività;
-NEGATIVO, con scarsa o nessuna variazione della sintomatologia dopo il trattamento.
Ogni soggetto è stato valutato una seconda volta ad almeno due settimane dalla fine del trattamento senza che si presentassero modificazioni di rilievo in senso negativo del quadro clinico presente al controllo di fine terapia: da segnalare che in 5 casi in cui vi era stata una remissione sintomatologica solo parziale si è verificata una regressione completa a distanza.
Nel corso della nostra ricerca abbiamo inoltre ritenuto interessante inserire anche una verifica strumentale dei risultati raggiunti soprattutto nei confronti del recupero funzionale del distretto trattato. Il metodo da noi utilizzato è stato quello di una verifica prima e dopo trattamento mediante tests isocinetici con ergometro CYBEX 6000 in dotazione al nostro Istituto.
Questo tipo di valutazione che, come è noto, richiede anche una attenta collaborazione da parte del soggetto si è rivelata particolarmente interessante anche se lo scarso numero di soggetti esaminati ( 5 casi ) non consente di trarre conclusioni significative: riteniamo peraltro che questo ulteriore metodo di verifica, per la sua obiettività e specificità di risposta, meriti di essere piu' diffusamente utilizzato il che intendiamo attuare in un ulteriore serie di ricerche.
A titolo esemplificativo riportiamo in fig. 3 il controllo all’ergometro isocinetico dell’entità del recupero funzionale ottenuto in un caso di inpingement di spalla in un tennista. Come risulta evidente dalle curve di forza, lavoro e dal range di movimento il recupero è stato pressochè totale in un tempo ragionevolmente breve ( circa 2 settimane ).
Come evidenziato in tabella V, sono stati ottenuti ottimi risultai nel 75 % dei casi trattati, nel 18 % è stata ottenuta comunque una remissione sintomatologica e solo nel 7 % il trattamento non ha dato alcun risultato.
In questi soggetti ad esito negativo erano presenti fibro-calcificazioni di discrete dimensioni ( n° 2 casi ) o lesioni di interesse chirurgico ( n° 5 casi ).